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I NUMERI DEL GREEN BOOK PRESENTATI

Il 28 gennaio scorso a Roma, alla presenza dei vertici Utilitalia e di esponenti del Governo Renzi, è stato presentato  il Green Book 2016. Per ACTA SpA era presente il Direttore Generale Ascoli.

Lo studio propone una panoramica degli aspetti organizzativi ed economici della gestione del ciclo dei rifiuti urbani in Italia, con approfondimenti sulle principali grandezze tecniche ed economiche del settore che permettono di comprenderne la dimensione, le caratteristiche e le tendenze evolutive.
Secondo il rapporto, la gestione del servizio dei rifiuti è ancora ”troppo frammentato”, con ‘463 società’ che si occupano di igiene urbana; il 4% degli operatori genera il 40% del fatturato che si attesta a 10,5 miliardi di euro.

Riportiamo di seguito il testo di un articolo molto interessante di Gianni Trovati, de Il Sole 24 ore dell’8 febbraio,  che meglio di altri sintetizza le principali novità del censimento voluto da Utilitalia.

“Circa 1.500 gestioni in 8mila Comuni. Basta questo dato a individuare nel nanismo il problema che affligge il settore dell’igiene urbana. La diffusione delle micro-gestioni diffonde gli inciampi nei bilanci, ostacola gli investimenti in impianti e infrastrutture e quindi allunga la strada verso l’efficienza: un tema che riguarda in modo diretto gli utenti, perché il principio guida della tariffa è nella «copertura integrale» dei costi del servizio.
La prova del nove di questa catena logica è nelle cifre offerte dal nuovo Green Book, il censimento completo sulle performance economiche e ambientali del settore appena pubblicato da Utilitatis.
Il settore della raccolta, smaltimento e trattamento dei rifiuti è diviso in due: da un lato sopravvivono oltre mille gestioni dirette, portate avanti in solitudine da Comuni in genere medio-piccoli nonostante i vari tentativi di riforma nel nome degli «ambiti territoriali ottimali», e dall’altra ci sono le 463 imprese affidatarie del servizio (il 55% pubbliche, il 27% miste e il 18% private) che si spartiscono un fatturato annuo da 10,3 miliardi. Ma anche in questo secondo campo, che ovviamente raccoglie i numeri più importanti in termini di peso economico e di popolazione servita, sono i mini-operatori a giocare ancora un ruolo di primo piano: il 51,4% delle imprese non arriva a fatturare 10 milioni di euro all’anno, e solo una ventina di aziende (quindi il 4% del totale) supera la soglia dei 100 milioni, e si aggiudica il 40% dei ricavi del settore.
E dire che nell’igiene ambientale, come in tutti i servizi «a rete» (quali energia, gas, acqua) le economie di scala hanno un peso decisivo, e trovano un riscontro puntuale nei bilanci delle imprese.
Negli ultimi anni risultati e redditività sono cresciuti in modo piuttosto costante, ma è la loro spartizione fra le imprese a offrire i dati più interessanti:?in perdita è un’azienda su sei, ma il problema si concentra fra le piccole, che in media chiudono i bilanci con un rosso pari al 3% del fatturato mentre le grandi registrano un utile medio del 4,2 per cento. Simile la parabola disegnata dagli altri indicatori di bilancio:?i costi di produzione si mangiano il 98,5% del fatturato nelle aziende più piccole, contro il 91,6% delle più grandi, e i margini netti passano dall’1,5% medio delle mini-imprese all’8,4% delle maxi.
Si spiega anche così l’andamento non proprio brillante degli investimenti, che per soddisfare il fabbisogno del settore nei prossimi cinque anni dovrebbero triplicare rispetto al quinquennio che si è appena chiuso.
Per tenere il ritmo di investimenti che serve a far crescere la dotazione infrastrutturale del settore, però, occorre l’avvio di un risiko di alleanze e aggregazioni che ancora stenta a mostrarsi. È in questo punto che si inseriscono i capitoli chiave della riforma della Pubblica amministrazione, che assegna all’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il servizio idrico il compito di regolatore terzo anche per l’igiene ambientale, ormai l’unico fra i grandi servizi a rete a essere priva dell’Authority, ponendo le premesse per un sistema tariffario omogeneo. «Servono regole nazionali, fonti di finanziamento stabili e un sistema di premi e penalità che spinga le aziende a rendere più efficiente la gestione», elenca Filippo Brandolini, vicepresidente di Utilitalia.
Sono questi anche gli obiettivi dichiarati del nuovo testo unico sui servizi pubblici locali, che rilancia anche gli incentivi finanziari e fiscali alle aggregazioni. In agenda, però, c’è anche l’obbligo di portare al traguardo le tante regole già scritte negli ultimi anni, ma rimaste lettera morta. In prima fila, ancora una volta, ci sono gli ambiti ottimali, che dovrebbero sottrarre ai singoli Comuni la gestione del servizio: a cinque anni dall’obbligo, il 60% dei 93 Ato in cui le Regioni hanno suddiviso l’Italia sono ancora al palo perché non sono stati individuati gli organi di governo o, più spesso, perché i Comuni non hanno ancora aderito”.

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